Redazione / Approfondimento

NVIDIA E QUELLA STRANA PIOGGIA DI FINANZIAMENTI

Una storia di scatole cinesi e di finanziamenti a dir poco sospetti potrebbe minare la credibilità del rally del colosso dell’AI

Articolo del 11/09/2023 a cura della redazione

La cavalcata di Nvidia in questo 2023 ha lasciato sbigottiti in molti tra operatori di mercato e singoli investitori, con il titolo in rialzo di oltre il 200%. Del rally in atto ne abbiamo parlato in particolare all’interno del CJ 796, nella rubrica “Analisi Fondamentale”, commentandone la strabiliante performance, con il titolo balzato del 30% fino a $400 a seguito del rilascio della trimestrale relativa a Q1 2024, che aveva segnato la svolta in termini di business decisa dal CEO Huang e ancora prima nel CJ 782, mentre (appena tre mesi prima) la società non stava vivendo un periodo facile a causa della discesa della domanda dei chip per il gaming e della fallita acquisizione di Arm.

LA GRANDE SCOMMESSA SULL’AI E L’ESPLOSIONE IN BORSA

Ed è proprio in parte a causa di queste difficoltà che il management decise di puntare ancora più fortemente sullo sviluppo e la produzione di chip ad elevatissime prestazioni (e ad elevatissimo valore aggiunto), fornendo soluzioni per AI e deep learning destinate principalmente a data center e supercomputer. La svolta a livello di business è stata finora ampiamente premiata dal mercato, con il titolo che è arrivato a prezzare oltre 230 volte gli utili correnti, incorporando così aspettative di crescita decisamente consistenti nel medio periodo: ricavi da quadruplicare e reddito netto da decuplicare entro poco più di due esercizi, scommessa decisamente ambiziosa ma, come detto, ben recepita dal mercato. In quella occasione, commentando gli elevatissimi multipli di mercato del titolo, scrivevamo che “i recenti rialzi del titolo (guidati anche dall’hype sull AI) hanno esacerbato questa situazione, con il P/E corrente pari a 189,1x, ben al di sopra della (già elevata) media storica del titolo (117,5x). […] I multipli tornano verso valori più normali se si considerano le stime di ricavi ed utili dei prossimi anni, a testimonianza delle elevatissime aspettative di crescita riposte nella società e già ampiamente incorporate nel prezzo del titolo”. Ma non era evidentemente ancora finita, perché anche successivamente a questa trimestrale Nvidia ha continuato a correre, ritoccando i massimi fino a $480, il giorno precedente al rilascio della trimestrale successiva, relativa a Q2 2024: in quella occasione, come scritto all’interno del nostro canale Telegram, gli analisti si attendevano una crescita di fatturato e utili rispettivamente pari al 64,8% ed al 306% y/y, con i ricavi trimestrali chiamati a sfondare gli $11 mld e gli utili per azione i $2,07. Aspettative che definire elevate appariva dunque un eufemismo, ma che erano già ampiamente scontate dal prezzo del titolo, che necessitava dunque di dati ancora migliori per proseguire nella propria corsa al rialzo. Dati migliori che non hanno tardato ad arrivare: il produttore di chip ha registrato ricavi per $13,5 mld (+101,6% y/y), al di sopra delle attese pari ad $11 mld; allo stesso modo l'EPS ha superato di $0,63 il consensus ($2,7 vs $2,07). La crescita del fatturato è imputabile per la quasi interezza al segmento Datacenter, che ha visto crescere i propri ricavi del 171% y/y e che adesso rappresenta oltre l'80% del fatturato complessivo della società. Il management ha inoltre alzato la guidance sui ricavi del terzo trimestre a $16 mld, ben al di sopra del consensus ($12,5 mld), annunciando un buyback aggiuntivo per un controvalore di $25 mld; “a new computing era has begun” ha commentato entusiasta il CEO e co-fondatore Jensen Huang, aggiungendo che le aziende di tutto il mondo si stanno spostando su computer più potenti che possano supportare l'AI generativa stile ChatGPT. Il titolo in quell’occasione ha sfondato la soglia psicologica dei $500, balzando di oltre l’11% nell'After Hours, salvo poi rimangiarsi i guadagni nella sessione di borsa successiva.

PREMESSA NECESSARIA

Quanto raccontato finora appartiene ai fatti degli ultimi nove mesi, riconducibili ad una storia di successo di un colosso americano leader indiscusso nel suo settore. E quest’ultimo aspetto né può essere messo in dubbio né è intenzione di chi scrive questo articolo farlo. Negli ultimi giorni si sta tuttavia facendo largo, in particolare prima su X (ex Twitter) e poi su YouTube, una teoria che, fosse vera, avrebbe dell’incredibile. È quindi necessario fare una premessa: le righe che seguono riporteranno i punti salienti di quanto scoperto da Samantha LaDuc e dall’utente di X “JG_Nuke”, conosciuto anche come Nobody Special. Infatti, nonostante non vi sia nulla di illegale in quanto finora venuto alla luce, riteniamo che questa sia una storia degna di essere rilanciata e resa pubblica per la linearità dei fatti riportati dai due autori, premettendo tuttavia che si tratta ancora di pure speculazioni e che non vi è alcun addebito a carico di Nvidia né di alcuno dei personaggi citati.

UNA LINEA DI CREDITO SOSPETTA

A parlare per prima di questa vicenda è stata proprio Samantha LaDuc, trader professionista dal 2008 ed owner di LaDuc Capital LLC, che in un tweet poneva la lente di ingrandimento su uno schema di prestito oggettivamente strano, sia per quanto riguarda le specifiche dello stesso che per il giro di denaro che in concreto si è messo in atto: il 3 agosto 2023 CoreWeave (società operante nel cloud computing) si è infatti assicurata un finanziamento pari a $2,3 mld da Magnetar Capital (hedge fund che, come vedremo, ha assunto un ruolo importante nella grande crisi finanziaria) e Blackstone, con il principale obiettivo di acquistare chip Nvidia H100, utilizzati massivamente nei datacenter che CoreWeave andrà a costruire nell’immediato futuro e che metterà a disposizione della propria clientela. Questo prestito ha generato parecchio interesse, tanto da meritare un articolo da parte di Reuters (https://www.reuters.com/technology/coreweave-raises-23-billion-debt-collateralized-by-nvidia-chips-2023-08-03/), in primis in virtù del collaterale utilizzato, ossia gli stessi chip Nvidia che CoreWeave ha acquistato con la liquidità messa a disposizione dai fondi di investimento: secondo Reuters, l’utilizzo dei chip come collaterale “highlights the value of such hardware in the capital-intensive AI arms race. Nell’economia del 2023 le schede video assumerebbero una tale importanza da essere considerate quasi alla stregua della moneta, ossia un bene ad elevatissima domanda, divisibile, portabile e soprattutto durabile, ossia che possa essere in grado di mantenere il proprio valore stabile per molto tempo, senza pericolo di deperimento e di svalutazione intrinseca, caratteristica quest’ultima non esattamente rinvenibile nelle schede grafiche, che oltretutto soffrono di elevata obsolescenza a causa della continua messa a punto di nuove schede sempre più efficienti e ad elevate prestazioni. Ma oltre all’inconsueto e fantasioso utilizzo delle schede Nvidia come collaterale della linea di credito, a creare non pochi sospetti è il giro di denaro che è stato messo in atto dai vari soggetti: 2,3 miliardi di dollari escono infatti dalle casse di Blackstone e Magnetar Capital ed entrano in quelle di CoreWeave (società valutata appena $2 mld prima di ricevere questo ultimo finanziamento), che utilizza a sua volta la liquidità per acquistare chip da Nvidia, che a sua volta è partecipata dalla stessa Blackstone, che in ultima istanza ha beneficiato del rialzo delle azioni Nvidia. I ricavi usciti ben al di sopra delle attese degli analisti (di $2,5 mld, una cifra molto vicina ai $2,3 mld prestati a CoreWeave e finiti con ogni probabilità nelle casse di Nvidia per l’acquisto dei chip utilizzati come collaterale) hanno infatti permesso alla società di mantenere un premio per la crescita così elevato, con le aspettative per i prossimi anni che rimangono intatte: serviva una trimestrale monstre e così è stato. Il cortocircuito esposto finora difficilmente non può non essere visto con diffidenza, anche e soprattutto alla luce dei trascorsi degli attori coinvolti nella vicenda (ne parleremo tra poco) e del timing delle operazioni messe in atto per spostare liquidità nelle casse di Nvidia per mezzo di una società che fino a qualche mese prima nemmeno esisteva, o quantomeno non come la conosciamo oggi.

THE ATLANTIC CRYPTO CORP (ALIAS COREWEAVE)

Ma da dove è spuntata fuori CoreWeave? Chi sono i suoi fondatori? Chi sono soprattutto i suoi finanziatori? Rispondendo con ordine, CoreWeave è stata fondata sei anni fa, il 21 settembre 2017, ma non sotto l’attuale denominazione: la società, infatti, si chiamava originariamente The Atlantic Crypto Corporation e, come intuibile dal nome, non si occupava di datacenter né di cloud computing ma il suo unico business era quello di minare Ethereum. Le dimensioni della stessa non dovevano essere nemmeno così significative, almeno a giudicare dalla size (appena $1,2 mln) del round di finanziamento seed concluso il 25 febbraio 2019, come riportato da Crunchbase: una società sostanzialmente anonima che però nel giro di qualche settimana cambierà nome e comincerà dal nulla a ricevere le attenzioni degli investitori istituzionali (ed anche una quantità di denaro fuori scala rispetto a questo primo finanziamento). A fondare The Atlantic Crypto Corporation (e poi CoreWeave) sono stati tre “amici di lunga data”: Micheal Intrator, attuale CEO della società, Brian Venturo, attuale CTO e Jack Cogen, attualmente Director, con l’aggiunta di Brannin McBee, che riveste il ruolo di Chief Scientific Officer. Ebbene, nessuno dei quattro personaggi appena citati ha un background informatico o scientifico (compresi il direttore tecnico e quello scientifico): come facilmente visionabile sui rispettivi profili Linkedin, Intrator, Venturo e Cogen hanno infatti guidato per sette anni circa (peraltro con discrete performance) un hedge fund denominato Hudson Ridge Asset Management LLC, che operava attraverso una “100% fundamental, 100% systematic investment strategy in the US Natural Gas futures market”. Del tutto similmente, Brannin McBee può vantare una lunga carriera come proprietary trader di commodities energetiche (di cui una tra l’aprile 2020 ed il gennaio 2021, quando già aveva fondato The Atlantic Crypto Corporation), ma nessuna esperienza maturata nell’ambito del cloud computing. Insomma, appare davvero complicato immaginare che un manipolo di ex hedge fund manager e trader di commodities abbia potuto fattivamente fondare dal nulla una società di successo (che fino a poco tempo fa peraltro minava Ethereum) e che adesso si pone l’obiettivo di fare concorrenza a player consolidati del settore come Amazon e Microsoft.

FINANZIAMENTI A PIOGGIA

L’esistenza del piccolo miner di Ethereum giunge al termine il 28 ottobre 2021: in questa data, meno di due anni fa, l’anonima e fino a quel momento insignificante The Atlantic Crypto Corporation cambia nome (e business model), diventando finalmente CoreWeave (“a specialized cloud provider”) e venendo velocemente alla ribalta, anche grazie al suo inserimento all’interno del Partner Network di Nvidia come Preferred Cloud Services Provider, per niente male per una società che fino a qualche settimana prima nemmeno esisteva, o perlomeno non esisteva come tale. Non passano però neanche due settimane e CoreWeave riceve le attenzioni degli investitori istituzionali, in particolare dell’hedge fund Magnetar Capital, che le eroga un finanziamento da ben $50 mln. Ecco che magicamente, dopo un veloce restyling del brand, il denaro comincia ad affluire copioso nelle casse della start up del New Jersey, che fino a pochi giorni prima era un semplice crypto miner gestito da quattro ex trader di commodities. Ma non è finita qui, perché Magnetar continua ad iniettare liquidità: poco più di un anno dopo (e sei giorni dopo l’uscita di ChatGPT), il 6 dicembre 2022, l’hedge fund presta a Coreweave altri $100 mln, ai quali seguiranno ulteriori $221 mln il 20 aprile 2023 (CoreWeave, a GPU-focused cloud compute provider, lands $221M investment | TechCrunch), portando il totale dei finanziamenti ricevuti a $371 mln, per una valutazione pre-money pari a $2 mld. Ma la novità rilevante dell’ultima tranche è che, oltre a Magnetar Capital, tra i soggetti finanziatori dell’operazione compare la stessa Nvidia, che rafforza così la sua partnership con CoreWeave. Oltre a fornire alla start-up newyorkese i chip necessari (verrebbe da dire essenziali) per il portare avanti il suo business, Nvidia è adesso finanziatore attivo di CoreWeave tramite capitale di debito, tanto da che verrebbe lecitamente da chiedersi se la stessa esistenza di CoreWeave abbia qualche tipo di senso senza la fornitura dei chip Nvidia, che sono letteralmente l’unico bene o servizio che la start-up possa offrire. E per concludere, soltanto un mese dopo (il 31 maggio 2023) arriva un nuovo apporto di liquidità per $200 mln: ancora una volta l’investitore è Magnetar Capital, che in meno di un anno ha versato nelle casse di Intrator e soci quasi mezzo miliardo di dollari. Tutto ciò è accaduto nei mesi precedenti il famigerato prestito da $2,3 mld, la cui size appare totalmente fuori scala rispetto ai round precedenti ed alla valutazione della stessa Coreweave.

THE MAGNETAR TRADE

Facendo il punto della situazione, c’è una società gestita da un manipolo di ex trader di gas naturale che fino a qualche mese prima minava Ethereum, che adesso ha come unico punto forte il fatto di possedere chip Nvidia grazie ad una partnership siglata con quest’ultima e che per questo motivo ha ricevuto nell’ultimo anno, tranche dopo tranche, quasi tre miliardi di dollari da un hedge fund (Magnetar Capital), da Nvidia stessa e fondi di investimento azionisti di Nvidia (Blackstone). E se questo cortocircuito dovesse sembrare quantomeno sospetto, lo è ancora di più se si va a scavare (nemmeno troppo) a fondo nel passato di Magnetar Capital, ossia il soggetto che ha finanziato pesantemente CoreWeave appena dieci giorni dopo la sua trasformazione e che ha continuato senza sosta ad immettervi liquidità, con cifre sempre crescenti. Ebbene, questo hedge fund dell’Illinois non è diventato famoso per qualche investimento illuminato o virtuoso, ma per il cosiddetto Magnetar Trade (la cui descrizione è riportata dettagliatamente al seguente link: The Magnetar Trade: How One Hedge Fund Helped Keep the Bubble Going — ProPublica): in sintesi, Magnetar ha aiutato le maggiori banche americane nella strutturazione dei famigerati CDO (collateralized debt obligation), spingendo affinché questi fossero composti da asset il più rischiosi possibili, collocandoli all’interno dei portafogli di ignari risparmiatori retail e rendendo così la crisi dei subprime sensibilmente peggiore. Non solo, nel mentre portava avanti questo schema truffaldino, Magnetar Capital assumeva posizioni corte sugli stessi CDO che aiutava a creare e a distribuire, guadagnando così miliardi di dollari con il default dei titoli stessi. A causa di ciò, il 21 giugno 2011, la SEC ha multato JP Morgan Chase per $154 mln, rea di aver nascosto ai propri clienti e agli investitori l’aiuto ricevuto da Magnetar Capital nella strutturazione dei CDO e la posizione corta che l’hedge fund aveva assunto nei titoli. Un passato decisamente burrascoso ed opaco per uno dei maggiori finanziatori di CoreWeave che non fa che accrescere i sospetti verso lo schema appena descritto: pur non essendovi ancora profili di irregolarità ravvisabili (né tantomeno ravvisate dalle autorità competenti), la presenza di un attore così controverso che ha contribuito per anni a gonfiare la bolla immobiliare, rendendone peggiori le conseguenze una volta scoppiata, non può di certo lasciare indifferenti e necessita chiarimenti.

CONCLUSIONI

Al momento la storia è rimasta confinata nell’ambito dei social ed è stata per lo più più snobbata dai media mainstream, che si sono limitati a bollarla come teoria cospirativa. Ma come si suol dire, tutti i nodi prima o poi vengono al pettine e se queste supposizioni avranno effettivamente fondamento lo scopriremo (presto o tardi) direttamente dal prezzo delle azioni Nvidia, con la consapevolezza che la loro corsa ha generato una fetta importante della bull run di questo 2023 e che se i ricavi e gli utili del chipmaker fossero stati in qualche modo gonfiati, le conseguenze sui mercati potrebbero non essere così lievi.