Redazione / Approfondimento

LA GRANDE FUGA

Salgono i rendimenti dopo le parole di Powell. Cosa attendersi e quali possono essere i risvolti sul mercato azionario.

Articolo del 09/10/2023 a cura della redazione

È del 1963 l’iconico film con Steve McQueen e James Garner sulla fuga dei soldati trattenuti come prigionieri durante la Seconda guerra mondiale, anno di espansione economica e crescita dopo un decennio di depressione. Non poca familiarità abbiamo ormai con questo concetto di “fuga”, termine che i nostri lettori avranno più volte sentito in queste settimane: come il capitano Virgil Hilts, i rendimenti obbligazionari hanno tentato per mesi di fuggire dalla prigionia del trading range iniziato ad ottobre 2022 ma sono stati sempre respinti dall’aspettativa che, almeno nel breve/medio periodo, i tassi sarebbero scesi in un contesto di atterraggio morbido e deflazione con un primo taglio dei tassi stimato già alla fine dell’anno 2023. Compressi per mesi e favorendo il rialzo del mercato azionario, i rendimenti hanno quindi segnalato la possibilità di un tasso terminale al 4% per il decennale americano, incentivando gli acquisti nel comparto del debito. I rendimenti, tuttavia, avevano bisogno del suo Roger Bartlett per inseguire la libertà: Jerome Powell. Nello scorso appuntamento del FOMC, la Banca Centrale nel proprio Statement ha reso noti i suoi Dot Plot sulle proiezioni dei tassi di interesse, infrangendo i sogni di un mercato (per alcuni tratti troppo ottimista) già pronto ad assaporare i profitti derivanti dalla sua scommessa contro “Higher For Longer” annunciato da più di un anno.

Fonte https://www.federalreserve.gov/

Il considerevole rialzo dei rendimenti è stato infatti giustificato da un’economia estremamente resiliente e da una stima del PIL rivista al rialzo, il che rende la guerra all’inflazione sempre più complessa. Il rialzo dei Plot per le scadenze 2024/2025 ha spinto il mercato del debito ad un tasso reale sul 10 anni oltre il 2,5% ma soprattutto, un premio a termine (cioè il compenso richiesto dagli investitori per sopportare il rischio che i tassi di interesse possano variare nel corso della vita dell’obbligazione) positivo: è infatti attribuibile proprio a quest’ultima componente l’attuale corsa al rialzo dei rendimenti.

Elaborazione CedLAB su dati Bloomberg

Il mercato ha dovuto accettare quindi una rottura degli equilibri di puro stimolo dell’ultimo decennio ed accogliere la possibilità che almeno per i prossimi anni, si vivrà a tassi elevati. Avere premi a termine positivi significherebbe anche osservare un “Boom-Bust Cycle”, cioè cicli di espansione e contrazione più rapidi di quelli a cui i siamo stati abituati.

UN BRUSCO RISVEGLIO

La reazione del mercato azionario all’accettazione di tassi più alti a lungo è stata tutto tranne che positiva. La ragione di questo non può non essere ricercata nel costo del capitale che, rivisto al rialzo, intacca negativamente lo sconto dei flussi di cassa e, quindi, le valutazioni. Il mercato americano è infatti passato da un P/E di x19 di luglio all’attuale x17,23 con la possibilità di assestarsi su un x16 per un tasso reale nell’intorno del 3%.

Elaborazione CedLAB su dati Bloomberg

Nonostante ciò, va fatto notare che seppur il numeratore del rapporto stia scendendo, il denominatore (e quindi gli utili) stanno virando in positivo: il tasso di crescita degli utili attesi è infatti in aumento ora a -1,44% con delle aspettative di inflazione, driver dei consumi, positive anno su anno. Tutto questo potrebbe quindi anticipare l’ambita dinamica di atterraggio morbido che gli investitori ricercano e sperano da più di un anno sebbene, almeno nell’ultimo trimestre, si sia osservata una variazione negativa delle sorprese sulle vendite negli US a fronte di sorprese positive sugli utili: la debolezza dei consumi si sta quindi man mano facendo strada con le aziende, ancora in grado di fare leva sui consumatori (aumentando il prezzo di vendita al fine di bilanciare le minori vendite) per generare margini positivi.

Elaborazione CedLAB su dati Bloomberg

Il rialzo dei rendimenti ha così condotto, insieme al peggioramento degli spread di credito (cioè la differenza tra i rendimenti dei titoli di stato e i rendimenti dei titoli di debito corporate a pari scadenza) e dei credit default swap, ad un bear steepening della curva, cioè un rialzo dei rendimenti di lungo maggiore di quelli di minore scadenza: questa meccanica, figlia del Quantitative Tightening (che fa venire meno la domanda di debito statale da parte delle Banche Centrali, in genere tale da comprimere i rendimenti) e di dati sulla crescita positiva che spingono la Federal Reserve a mantenere i tassi elevati a lungo, ha gravato negativamente sia sull’azionario che sull’obbligazionario, mettendo nuovamente in dubbio l’efficacia secolare dei portafogli bilanciati 60/40.

Elaborazione CedLAB su dati Bloomberg

Gli spread di credito, nonostante ciò, rimangono ancora piuttosto contenuti grazie al lento superamento del “muro delle scadenze”: un tema molto discusso negli ultimi mesi è infatti quello legato alle scadenze del debito corporate High Yield e al tasso in cui questi debiti dovranno essere rifinanziati. La concentrazione delle scadenze nel 2025/2026 si sta pian piano assottigliando, con un rinvio di circa il 38% del debito in scadenza nel 2025: un mercato diversificato e globalizzato, difficilmente rende complessa la raccolta di capitale. Spread di credito contenuti non segnalano infatti un ribasso del mercato ma al contrario: minore sarà il rischio di affrontare difficoltà economiche da parte delle aziende e maggiore sarà l’attesa di rendimento delle stesse.

A fronte di questa tendenza al rialzo dei rendimenti non sta venendo meno però la domanda di titoli di debito.

Fonte Bloomberg

Come possiamo osservare nel grafico, infatti, sono sempre maggiori i volumi in ingresso su TLT (ETF su Treasury con scadenza maggiore dei 20 anni) similmente a tutti gli altri ETF su debito Investment Grade. Innegabile, infatti, che ad ogni aumento dei rendimenti e conseguente riduzione della duration, il rapporto rischio rendimento dell’operazione di acquisto migliori, giustificando così i continui acquisti. La grande perdita in portafoglio è vincolata cioè ad una duration sostenuta come quella di dicembre 2022, estrema addirittura nelle scadenze più brevi. Gli acquirenti di debito dovranno avere però la consapevolezza di tassi che, a differenza del recente passato (e salvo una recessione per ora scongiurata), potrebbero rimanere elevati per molto tempo venendo meno nel breve periodo il beneficio di apprezzamento del bond dal loro ribasso. In termini relativi l’attuale yield potrà pur sempre risultare eccezionale dopo un decennio di Quantitative Easening ma meno in termini assoluti e con un’inflazione più appiccicosa per più tempo. Difficilmente si vedranno ovviamente tassi alti come nei primi anni 90 ma avere la sicurezza di non vedere tassi oltre il 5% e per un periodo breve potrebbe essere piuttosto azzardato.

Nel vecchio continente, similmente agli Stati Uniti, i rendimenti dei titoli di stato periferici continuano a mettere pressione sugli spread. Le condizioni macroeconomiche, tuttavia, segnalano la possibilità di vedere una BCE meno aggressiva della Federal Reserve: il sistema economico americano, infatti, sta vivendo ora segnali di considerevole resilienza contrariamente a quello europeo che, seppur meno elastico, sta vivendo in maniera diversificata la debolezza economica. Dati economici in contrasto tra i diversi paesi europei consentono ad un investitore di non focalizzarsi esclusivamente sui titoli di debito di un singolo paese (esempio i BTP) ma di valutare anche altri paesi dell’Area Euro, per diversificare efficacemente il proprio portafoglio obbligazionario. Questa varietà di debito legata ad un singolo sistema monetario, oltre all’elevato valore di DXY e basso di EUR/USD (che rendono svantaggioso l’investimento in dollari), identifica il mercato del debito europeo dei titoli di stato e corporate molto appetibile. La tanto discussa fuga dei rendimenti potrebbe essere gestita a proprio vantaggio in questo contesto di stress valutando gli acquisti secondo due criteri: quello della diversificazione e quello della gestione del capitale.